Now Reading
Sognare distratti
Bosco, La morte arriva in ascensore
Šklovskij-Jakobson. Life as a Novel.
La grazia del dare alle fiamme
Il ritmo e la misura del testo
Luminosa, Gilda Manso
Orso nero (straniera) a Roma
Animali da primavera
Piano B
Radio Ostranenie
Protetto: Ostranenie – Bonus
I sette minuti di un artista
Il silenzio come ultimo eteronimo
Storie che si biforcano
Huidobro, Sulla Luna
Le transizioni – Ėjzenštejn

Sognare distratti

Nel sedersi, a pellicola iniziata, qualche fila dietro alla Sua, fu il più silenzioso possibile: non voleva che questo suo ingresso ritardatario infastidisse gli schemi mentali che certamente il Maestro cominciava a mescolare nella sua testa.

Il Marmotti, bigliettaio educato a banconote e bastonate, suo personalissimo Cerbero guardiano, era stato al telefono urlante e chiarissimo: «Dottor Contratti, sono io, si precipiti! È qui le dico, è qui! È la seconda volta che viene per il suo film!».

Chi fosse Lui, sia chiaro, sarebbe sciocco da specificare, giacché chiunque nel settore si sarebbe rizzato sull’attenti solo al saperLo in città, figurarsi al percepirLo duplicemente ospite in serata differita della propria creazione. Da qui la giacca, la cravatta – quella sartoriale – il pantalone di velluto e l’annullamento di impegni vari con vari pretesti (non si poteva dire dove si stesse andando; troppe aspettative, troppe invidie, troppe pressioni sul dorso). Da qui la macchina strozzata sul corso cittadino, costretta a ingurgitare flash veloxiani e multe future prossime, abbandonata in doppia fila come una compagna poco glamour per la serata d’essai.

Da qui la corsa, sudata, per le scale.

Da qui la luce, inebriante, del proiettore che è nulla, ma proprio nulla, rispetto al puntino luminoso stellare occupante il posto K in sesta fila. Con pochi altri, sia chiaro, sette o otto: corpi estranei, buchi neri, galassie inesatte rispetto al benedetto capo lucido di Achille Distratti, critico-cometa nel firmamento di ogni singola recensione nazionale.

Eccolo il Boia: colui che con un solo inarcarsi delle labbra a favore di telecamera poteva consacrare saecula saeculorum il primo sconosciuto che si cimentava in un corto a basso costo. Eccolo il terno al lotto, eccolo, in seconda isolata appartata visione a emanare un giudizio definitivo, giacché quella lampadina oculare che portava al posto del viso incorniciata da occhiali spessi e ciglia folte mai, e dico mai, ripercorreva lo stesso tragitto se non per esprimere un qualcosa che si sarebbe trasformato in un futuro muy malo o muy bueno per il caro Contratti, regista sognante qualche fila più in là.

Camminare adiacenti: un’opera impegnata che ha sconvolto la platea”. Ecco cosa sperava che Lui dicesse.

Eccola, la scena perfetta, quella in cui Poliska, il protagonista, decide di attraversare fuori dalle strisce pedonali.

Eccola, la testa lampadinata del Maestro, inclinata a quarantacinque gradi, volta altrove, intenta a caracollarsi, a roteare in un campo visivo estraneo alla proiezione. – Che gigante, starà assimilando quanto visto ieri, si starà concentrando sul rumore bianco, sul calpitare dei passi sull’asfalto nudo.

DI NUDO, il Contratti, scorgeva solo un seno qualche metro più in là, giacché due astanti, forse incapaci di comprendere, avevano cominciato a fornicare. Scacciarli avrebbe voluto, ma nulla doveva disturbare la Sua contemplazione che adesso, in verità, sembrava denunciare stanchezza: il Maestro si recava ai servizi.

Il Freddo: possibile che i passi sul selciato di Poliska non avessero irretito la vescica Distrattiana? Possibile che il film non reggesse la seconda visione? Possibile che la macchina accostata male e in odore di multa avesse accompagnato il Contratti a una tremenda rescissione?

Bisognava immediatamente AVVICINARSI.

Tre due una fila: posto P, vedetta sicura, al corretto riparo da un Distratti che, ritornato al posto e nuovamente inKappato, continuava la contemplazione del vuoto, arricciando un’orecchia a destra e aguzzando una pupilla a sinistra, come se nella sala, oltre alla pellicola, ci fosse altro. Era qualche fila più in là che il Maestro puntava la sua attenzione, verso un giovane caschetto biondo consumato, lui sì, dalla visione dell’opera.

BASTAVA COSÌ: l’umiliazione era eccessiva. Cinque quattro tre due posti: trenta centimetri di adiacenza. Nessuna barriera: carte scoperte su poltroncina cinematica.

«Le piace?».

«Che cosa?», la domanda implodeva nelle cavità auricolari del regista, sciogliendo la cravatta, smanicando la giacca scalzando le scarpe lasciandolo nudo.

Che cosa, aveva detto Che cosa.

«Il film», la risposta, a fil di gas, un’ammissione di resa.

«Non ci ho fatto caso…».

«Vede – aggiungeva, per nulla ostile – non guardo pellicole da trent’anni. Sono loro che guardo – un dito sottile puntava gli astanti concentrati – sono loro che mi rivelano la capacità del film quando sono sottratti alle proprie esistenze per sessanta minuti. Io mi limito a mettere su carta ciò che loro hanno provato. Nello specifico, questo Camminare adiacenti non sembra aver colpito, non fosse per quella ragazza bionda, la vede? Si è ripresentata qui anche ieri: nella scena in cui il protagonista resta senza ombrello lei tira forte su col naso e singhiozza. È questo che mi ha fatto tornare. Ed è a queste cose che dovreste badare voi registi prima di adulare dei vecchi accigliati come me a cui consegnate le carriere. Si ricordi di ciò: ne tragga giovamento».

Nello scivolare sotto la pioggia a cravatta sciolta, nel salutare un Marmotti disabituato ai suoi saluti, nello scusarsi coi municipali multanti recuperando la sua auto, nell’accostarla a un caschetto biondo sprovvisto di ripari, il Contratti cercò di respirare: mai avrebbe pensato che Ana Palichuck, l’amata sua Ana quando lo chiamavano Davide e non aveva Contratti e girava filmati sperimentali con una Super8, l’Ana che aveva lasciato perché gli avevano detto che non stava bene che un regista avesse per compagna una domestica, fosse disposta a spendere due volte il prezzo del biglietto per rivedere una storia troppo vicina alla loro.

Un diluvio pronto all’orizzonte, una macchina sovraccarica d’infrazioni, una clamorosa disfatta, un caschetto biondo da riportare a casa e poi…

Da tutto questo, il Contratti, avrebbe cercato di trarre giovamento.

View Comments (0)

Leave a Reply

Your email address will not be published.

© 2018  WOJTEKEDIZIONI. ALL RIGHT RESERVED. P.IVA 08794201213

Scroll To Top