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La zona del riso

In biblioteca vengo richiamato perché, leggendo Malerba, scoppio a ridere. Mi si avvicina una ragazza e mi chiede di seguirla; una volta fuori mi chiede se voglio prenotare un posto separato, con una chiave elettronica, un transponder. Ho sempre avuto un debole per il bip bip che fa quando apri la porta e ho sempre invidiato i vicini che, a differenza mia, ce l’hanno. Quindi sì, certo: accetto molto volentieri. Ma c’è una lista d’attesa, mi dicono, non possono prendere tutti. Lo capisco, mi sembra onesto. Devo lasciare i documenti e una cauzione preventiva di venti euro. Poi, mentre sono a casa e organizzo una festa con i coinquilini, mi arriva la mail: mi invitano a ritirare la chiave, devo pagare un’altra cauzione di cinquanta euro. Prendo appuntamento e mi presento, sono elegante ma non troppo.

Il responsabile è sulla cinquantina, è pieno di tic e borbotta tra sé. Non capisco quando parla con me e quando con sé stesso. Mi chiede il nome. Rispondo. Non sembra sentire: lo ripeto. Alza lo sguardo come a dire ho capito, ma non dice nulla. Prende la tastiera del computer e la sbatte contro il tavolo, non voglio fargli capire che mi fa paura, non voglio mostrare debolezza e mi limito a fissarlo. Lui non mi guarda, ma sussurra qualcosa. Si alza, chiama la collega che è più collerica di lui e gli fa notare con molta superiorità che le batterie della tastiera – che scopro va a batterie – sono scariche. Arriva un altro collega, un ragazzo giovane e svogliato, e cambia le batterie. Io rimango lì, lo fisso finché mi dice: la stampante non funziona. Mantengo la calma perché penso che se fosse uno scherzo e ci dovessero essere delle telecamere nascoste e io mi arrabbiassi e lo vedesse mia nonna che guarda troppi programmi televisivi non ci farei una gran figura.

Il responsabile tra una lamentela e l’altra mi dice che la cosa potrebbe durare molto. Apro il portatile e inizio a rispondere alle mail. Organizzo la giornata. Ordino qualche libro, inizio a leggerne uno. Lo finisco, era breve, ma comunque: mi sto incazzando adesso. Gli dico che torno dopo pranzo, che non ho tutta la giornata da perdere in questo modo. Mi risponde con un’alzata di spalle. Quando torno non si ricorda più di me. Gli dico il nome, sempre lo stesso. Stampa il modulo. Sbaglia a scrivere il nome, la data di nascita e il numero di telefono. Lo deve ristampare. Mi metto a leggere e attendo. Conto. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto. Mi sto incazzando, nove, dieci, undici, ma quanto ci mette? Dodici, tredici, quattordici. Finalmente mi dà una tessera con la quale devo andare a pagare la cauzione; no, non si può fare qui, borbotta scocciato e io obbedisco. Quando torno con la ricevuta mi fa firmare tre documenti che non mi lascia il tempo di leggere e mi allunga un tesserino che ha compilato a mano con una grafia da bambino di seconda elementare, tutta tremolante. Mi dice che si tratta di un’analisi che hanno fatto in base alle registrazioni delle telecamere di sorveglianza della biblioteca. Faccio finta di capire e annuisco, ringrazio e chiedo come arrivare al mio ufficio. Sorride, non capisco perché. Lo capisco quando mi trovo davanti all’ufficio.

Non è una stanza solo per me, ma una specie di gabbia quadrata in plexiglas con una porta di metallo piena di cartelli e scritte in rosso. C’è scritto Zona riso. Premo con il pollice la chiave elettronica e sento l’adorato e tanto invidiato bip bip. Mi sale il cuore in gola, trattengo il respiro e la porta si apre. Dentro alla stanza ci saranno venti, al massimo trenta persone. Sono tutte sedute con un libro in mano; ridono, in continuazione, senza pause. D’istinto mi viene da ridere, mi giro, vorrei rileggere i cartelli, ma ormai la porta si è chiusa dietro di me e sul retro c’è solo scritto: Smettere di ridere prima di uscire. La zona riso finisce qui.

Mi siedo al mio posto e sorrido al mio vicino che non riesce a parlare da quanto ride, si tiene la pancia con due mani, poi si calma un attimo e mi dice che devo ridere e che il tesserino bisogna lasciarlo sul tavolo, a sinistra, ben in vista e riprende a ridere. Appoggio il sacchetto trasparente con i libri e il portatile e sfilo dal borsello il tesserino, lo leggo. Alberto K., bassa, grassa e di pancia. Mi viene da ridere, mi trattengo, mi accorgo che qui si può, e rido anch’io, come gli altri. Sulla mia destra, attaccato sul tavolo con lo scotch, c’è un regolamento che leggo di sfuggita, ma una frase attira la mia attenzione: è severamente vietato non ridere. Si controlla regolarmente, più volte al giorno. Mi sembra tutto così assurdo e continuo a leggere.

L’accesso alla zona del riso è vietato ai non autorizzati. La zona è dotata di 40 posti riso, ai quali si sommano i tre posti d’onore dei vincitori del Festival annuale per la miglior risata dell’anno (www.festivallamigliorerisata.it).

Sono autorizzati i ridenti selezionati in base ai criteri della risata (www.zonariso/condizioni.it) dotati della tessera della risata e della chiave adibita all’accesso per la zona riservata. La tessera viene rilasciata entro qualche mese dalla richiesta, che può essere presentata dal lunedì al martedì dalle 8.30 alle 8:31. I tempi di attesa possono variare. Ci scusiamo per eventuali disagi.

Per l’utilizzo della connessione WiFi occorre rivolgersi al personale addetto ed essere iscritti alla sagra della risata o altre associazioni filoridenti.

È consentito l’accesso nella zona del riso ai minori non emancipati al seguito di un genitore o di chi ne fa le veci, che dovrà essere ridente e iscritto alla sagra della risata o ad altre associazioni filoridenti. Il minore dovrà essere costantemente sorvegliato e accompagnato dal genitore o tutore che si prende integralmente la responsabilità delle conseguenze della risata del minore.

È severamente vietato non ridere. Si controlla regolarmente, più volte al giorno. Nel caso di tristezza o mancata risata al non-ridente non saranno restituite le cauzioni versate.

Alle dieci in punto la porta si apre. Una figura femminile arranca. La prima cosa che vedo sono le ciabatte con le calze mediche che imprigionano due piedi che sembrano salsicce, in imbarazzo e in difficoltà per tutto il peso che non riescono a sorreggere con la giusta dignità. Fa un passo dopo l’altro, molto lentamente e con enorme pesantezza, si sente la vibrazione sul pavimento o forse me lo immagino. Mi accorgo che qui però non c’è la moquette. La donna enorme ora mi fissa, ha qualche ricordo di capelli giallognoli e i denti storti, l’ombretto azzurro che le chiazza la palpebra. Con fare minaccioso mi chiede: Perché non ride, signor Klemen? Dico che è la prima volta che sono qui, poi penso che sul tesserino c’è scritto K. e non il nome intero e allora come fa a sapere come mi chiamo? Mi dice che se voglio stare qui devo ridere, altrimenti perdo il tesserino e le due cauzioni. Sarebbe il momento adatto per chiedere spiegazioni sulla cauzione preventiva, ma non me la sento e inizio a ridere. La signora sembra soddisfatta quando torna alle dodici, alle sedici e alle diciotto.

Io rido, senza pause. Mi fa male la mandibola e sento la testa pesante. Non mi diverte molto, ridere. Dalle diciotto alle venti pranzo con un cubano e un caffè. Sarebbe bello se ci fosse una zona sigaro, forse scopro che esiste, forse basterebbe accenderlo in biblioteca e una ragazza mi direbbe di seguirla, mi chiederebbe se voglio prenotare un posto separato, con una chiave elettronica, un transponder. Ho sempre avuto un debole per il bip bip che fa quando apri la porta e ho sempre invidiato i vicini che, a differenza mia, ce l’hanno. Quindi sì, certo: accetterei molto volentieri. Ma c’è una lista d’attesa, mi direbbe, non possono prendere tutti. Lo capirei, mi sembrerebbe onesto. Devo lasciare i documenti e una cauzione preventiva di venti euro, mi diranno. Mentre sarò a casa e organizzerò l’ennesima festa con i coinquilini mi arriverà la mail: mi inviteranno a ritirare la chiave, dovrò pagare un’altra cauzione di cinquanta euro. Prenderò appuntamento e mi presenterò, sarò elegante ma non troppo e mi munirò di molta pazienza. Andrò nella zona sigari, in cui sarà severamente vietato non fumare sigari, e mi sentirò un signore a fumare lì dentro. Accanto a me ci sarà un vecchio professore, di quelli che si tolgono gli occhiali per leggere, e, nonostante la zona sigari sia pensata unicamente per fumare sigari e non per leggere, a differenza della zona riso, lui non si farà spaventare e leggerà fumando. Una ragazza gli si avvicinerà e gli dirà di seguirla, gli chiederà se vuole tornare nella sala lettura della biblioteca, ma lui farà finta di non capire, si fingerà un po’ sordo e tornerà a leggere accanto a me, fumando.

Io invece non ho il coraggio di oppormi così al sistema bibliotecario e organizzerò per bene la settimana: dal lunedì al mercoledì sarò nella zona del riso, dal giovedì al venerdì nella zona sigari e dal sabato alla domenica nella sala lettura. Dovrò fare attenzione a non confondermi: credo che i ridenti non apprezzerebbero se fumassi, i fumatori non apprezzerebbero se ridessi e i lettori, si sa, vogliono essere lasciati in pace.

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